Il concetto di azione nella giustizia costituzionale
DOI:
https://doi.org/10.15168/adp.2025.2.3718Parole chiave:
Azione, Giustizia costituzionale, Rappresentanza politica, Crisi della democrazia, Democrazia contenziosa, Interesse ad agireAbstract
Il concetto di azione nella giustizia costituzionale è stato elaborato dai processualisti come se fosse possibile ipotizzare una situazione soggettiva astrattamente riferibile alla legittimità costituzionale degli atti sottoposti alla Costituzione o comunque si potesse costruire un processo costituzionale delle libertà intorno alla categoria della pregiudizialità. Il senso di un sistema di giustizia costituzionale è definire la quantità di moto che è consentita a una Costituzione rigida che se fosse perfettamente rigida sarebbe anche definitivamente immobile e necessiterebbe di un sindacato meramente negativo ma onnipotentemente pervasivo. In Italia, le modalità di accesso e le regole processuali definiscono il limite e il fondamento della rigidità costituzionale: un giudice delle leggi che non abbia altri limiti che la propria prudenza interferisce con la sovranità costituente. Il concetto di azione non può essere inteso come proiezione processuale di una signoria della volontà tutelata dall’ordinamento costituzionale per il tramite della giustizia costituzionale perché le modalità di accesso sono le tecniche con cui l’ordinamento costituzionale contiene l’infinita capacità di espansione della giustizia costituzionale. Nei giudizi in via di azione, è evidente il ruolo della Corte costituzionale come strumento di costante (e dinamica) verifica del corretto innestarsi della forma di governo sulla forma di Stato che la crisi della rappresentanza politica ha esasperato. L’emergere di una democrazia contenziosa unisce il processo incidentale ai giudizi in via di azione tratteggiando una dinamica in cui i bisogni di giustizia politica che le ideologie non riescono più a gestire per mezzo della rappresentanza politica vengono immessi nel circuito della giustizia costituzionale che li sintetizza con un processo che rappresenta la nomopoiesi. Può stupire, scandalizzare e, persino, offendere che l’organo costituzionale chiamato a vigilare affinché il principio maggioritario per come si esprime per mezzo del circuito rappresentativo non oltrepassi i vincoli derivanti dalla forma di Stato svolga una funzione di (vigile, sofferta e consapevole) supplenza che ne tradisce la missione ma sembra essere lo stato delle cose.
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