Ripensare i diritti linguistici nell’ordine internazionale
DOI:
https://doi.org/10.15168/cll.v4i1.3433Parole chiave:
Giustizia linguistica, Diritti umani, Esclusione linguisticaAbstract
In un mondo in cui la padronanza della lingua dominante diventa un prerequisito implicito per l’inclusione sociale e civica, i diritti linguistici restano relegati ai margini del diritto internazionale. Il loro riconoscimento parziale, spesso subordinato ad altre libertà fondamentali come la non discriminazione o la libertà di espressione, li confina in uno status derivato e residuale, riducendoli a meri accessori funzionali della convivenza. Eppure, parlare la propria lingua non è un privilegio identitario, ma un diritto umano fondamentale – un diritto all’esistenza, alla memoria, alla dignità.
Attraverso un’analisi incrociata delle politiche migratorie, delle giurisprudenze nazionali e internazionali, nonché dei dispositivi normativi regionali, questo lavoro interroga la reale portata delle garanzie offerte alle comunità linguistiche. Lo studio mira a decostruire la gerarchia implicita che contrappone i diritti cosiddetti “universali” a quelli “culturali”, mettendo in luce le logiche di esclusione prodotte da tale dicotomia.
Si sostiene l’idea che i diritti linguistici debbano essere concepiti non come concessioni adattive, ma come veri e propri pilastri normativi – inscindibili dalla libertà di espressione, dal diritto a un giusto processo e dalla partecipazione politica effettiva. Contro le letture funzionaliste, questo contributo propone una reintegrazione della lingua nel cuore dell’architettura dei diritti umani: non soltanto come strumento di comunicazione, ma come veicolo di riconoscimento e di pluralismo democratico.
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