Emmanuel Carrère e la vita al contrario

Autori

  • Andrea Rondini

Parole chiave:

Emmanuel Carrère, San Paolo, Doppio, Eterogenesi dei fini

Abstract

La narrativa di Emmanuel Carrère tematizza a più riprese la fuoriuscita dai confini
dell’unità identitaria a vantaggio di profili alternativi di sé. In particolare, tale esperienza
assume la forma di un mutamento per il quale le vite di partenza si ribaltano nel proprio
contrario. L’exemplum di queste metamorfosi, narrato nel Regno, è San Paolo: la sua vita è
letteralmente spezzata in due dall’illuminazione sulla via di Damasco 1 che lo trasforma
nel proprio opposto, da persecutore dei cristiani a fervente apostolo. Collegata a questo
paradigma è la nozione di eterogenesi dei fini poiché la conversione paolina ne è, anche,
lampante manifestazione: ciò che era temuto diviene il più grande dei beni. L’eterogenesi
dei fini è centrale nella Lettera ai Romani e soprattutto in un passo fondamentale: «non
compio il bene che voglio, ma il male che non voglio».
A partire da questi assunti l’articolo analizza l’opera di Carrère alla luce
dell’epistemologia fondata dal Codice del Contrario e ne studia le ricadute nella
rappresentazione autofinzionale dell’autore e nella fenomenologia della scrittura.
Esemplare la traiettoria disegnata da Yoga, che può essere considerato l’ennesimo
esperimento nel provare ad assumere un’identità opposta alla propria, qui scegliendo
l’Arte del Nobile Silenzio, incompatibile con l’attività comunicatrice della letteratura.
L’esperimento fallirà: ma al di là dei risultati, per il narratore vuol dire comunque
sfuggire alla staticità dell’ennui depressivo, mantenersi in movimento e quindi in vita.
L’amicizia stessa è regolata in modo analogo, essendo il miglior amico dello scrittore,
Hervé, dotato di un temperamento opposto.
Scegliere il contrario non vuol dire solo vivere ma anche scrivere: Carrère infatti narra le
storie che non dovrebbe narrare, le storie contrarie all’usuale orizzonte d’attesa: così
infatti gli si rivolge la compagna in questo passo di Vite che non sono la mia che sembra
colloquiale ed è invece metanarrativo: «Non conosco nessun altro capace di pensare che
l’amicizia tra due giudici zoppi e malati di cancro intenti a spulciare cause di
sovraindebitamento […] sia un soggetto d’oro. Per di più non vanno neanche a letto
1 EMMANUEL CARRÈRE, Il Regno, Milano, Adelphi, 2015, pp. 120-123.

insieme e alla fine lei muore. Ho riassunto bene? È questa la storia? Ho confermato: è
questa» 2 . Ecco perché dimorare nel contrario non avrà mai fine: una risoluzione della
dicotomia comporterebbe l’autodistruzione di Carrère come scrittore, come evidenziano
ulteriormente le pagine de La vita come un romanzo russo. Per lo stesso motivo lo scrittore
tematizza e abbraccia l’eterogenesi dei fini nelle sue varianti positive o negative: positive
laddove il cancro (Vite che non sono la mia) serve a guarire i malati dalle proprie nevrosi,
svolgendo così il bene che non intendeva fare, negative laddove la baby sitter scelta dal
narratore (Regno) si rivela dannosa per i propri figli (e allora l’autore fa il male che non
intendeva fare). Affidarsi alla divinità cieca dei contrari e dell’eterogenesi non garantisce
il Bene, anzi, ma almeno, soprattutto, la Vita, naturalmente non senza un costo: il
dispositivo contrario costituisce una notevole spesa nervosa, è segno di una frattura, di
una instabilità, di una sensibilità doppia, di ascendenza proustiana, che tra l’altro non
mette al riparo dalle ricadute depressive. L’insistenza su tali temi potrebbe infine
generare l’ipotesi che non ci trovi più di fronte a una semplice peculiarità soggettiva, ma
a una legge dell’esistere: il contrario è la Cosa che non si può fare meno di fare, o meglio,
la Cosa che non si può evitare che accada, come dimostrava già l’Avversario, depositario
delle linee fondative del discorso.
Entro queste coordinate concettuali, risulta particolarmente efficace una metodologia
che si avvale di alcuni concetti del pensiero del filosofo Agamben, in particolare quelli di
forma di vita e di uso: la forma di vita indica una concezione dell’esistenza come
perpetuo autogenerarsi, come sostanza che si crea vivendo e non ha quindi essenza
predeterminata, secondo un’idea omologa all’incessante dispiegarsi del flusso esistenziale
carreriano innescato dal pensiero contrario, potenza che deve abolire sempre il proprio
atto per rimanere tale; il concetto di uso a sua volta consiste nella disattivazione
dell’esistente e nella sua ridiscussione, in una costante «depropriazione della condizione
fattizia, che viene così aperta a un nuovo possibile uso» 3 , concetto elaborato a partire
anche dal pensiero di S. Paolo e dal suo annullamento della logica binario-oppositiva dei
contrari.

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Pubblicato

06-07-2023

Come citare

Rondini, A. (2023). Emmanuel Carrère e la vita al contrario. Ticontre. Teoria Testo Traduzione, (19). Recuperato da https://teseo.unitn.it/ticontre/article/view/2455

Fascicolo

Sezione

Saggi