Per una nuova inattualità
DOI:
https://doi.org/10.15168/xy.v1i1.13Abstract
La condizione ormai ineludibile della “informatizzazione universale” (o, se si preferisce, “globale”) impone adeguamenti rapidi e, a loro modo, feroci. L’elogio della mano pronunciato tanti decenni fa da Henri Focillon oggi per molti risulta patetico. L’architettura si traduce in pratica di mestiere che può aspirare all’arte senza transitare entro lo spazio del foglio da disegno, sostituito dal gelido e anonimo rendering garantito dalla precisione obitoriale della rappresentazione computerizzata. Ciò che risulta molto adatto ad una attività progettuale intesa come produzione intercambiabile, come merce architettonica. Paradossalmente la presente sintesi viene ospitata nelle pagine di una rivista prestigiosa che oggi rinasce in versione informatica – come si dice – on line, ampliando, peraltro, il suo raggio d’azione e dunque gli ambiti tematici. Per la rappresentazione, oltre la rappresentazione, e dentro alla “vita delle forme”. Ma, pare a chi scrive, che la grande tradizione del costruire, la cosiddetta “cultura del progetto” in tutte le sue declinazioni e diramazioni, debba “comunque” essere ascritta all’ambito dei saperi umanistici. Ce lo dicono il pensiero cistercense, e pure l’Alberti. Del resto, il trattato di Vitruvio non costituisce forse uno dei grandi lasciti della classicità e dunque dell’Umanesimo? Non per tanto ignoreremo il Moderno ed anzi ne ricercheremo le più profonde radici umanistiche. Che pure esistono, al di là delle impazienze liquidatorie dell’Avanguardia (storica). Per un ampliamento dell’orizzonte da osservare, giudichiamo non priva di interesse l’assunzione delle “forme militari” e della loro rappresentazione, in sede storica e in sede di evidenza contemporanea, quale trascurato ed invece attraente territorio dell’invenzione progettuale.