Lucio Saffaro e la "metafisica del mondo"
DOI:
https://doi.org/10.15168/xy.v2i3.60Abstract
L’arte e la misura furono i luoghi privilegiati nei quali le meditazioni di Lucio Saffaro (Trieste 1929–Bologna 1998) si mossero fin dal principio. Un binomio costante e peculiare in grado di condurlo ad un lavoro talmente rigoroso, tra le strutture interne della scienza e delle arti, che gli permise di eludere il problema della distinzione tra le due dicotomie disciplinari. Con ragione, si notò, da subito, la coerenza del suo processo investigativo, laddove l’artista, pur avvalendosi degli strumenti e dei linguaggi classici, fu capace di contestarli dall’interno, creando nuove teorie otti- che ed alfabeti del tutto originali. Saffaro considerava la scienza con l’occhio del poeta ed affron- tava l’arte con gli strumenti del matematico, senza, tuttavia, restare impigliato nelle maglie didatti- che di procedimenti prettamente interdisciplinari; di fatto, la serietà del suo indagare lo condusse in un territorio euristico in cui la scrittura, la pittura e il pensiero scientifico andavano formulando un’unica riflessione, strutturata non per scissioni, ma per parallelismi coerenti e ricorrenti.