Il tempo della fotografia nella rappresentazione dell’architettura e del paesaggio
DOI:
https://doi.org/10.15168/xy.v4i7.125Abstract
Pierre Sorlin, nel suo I figli di Nadar, sostiene che negli anni successivi all’invenzione della fotografia, il dibattito si concentrò sull’individuazione delle differenze tra quest’ultima (immagine analogica) e la pittura (immagine sintetica). Tali differenze riguardano, tra l’altro, il tempo di esecuzione: l’immagine sintetica è legata al tempo “interno” all’autore, non per forza quello necessario all’esecuzione tecnica, ma spesso un tempo “dilatato” per fattori personali e/o contingenti. L’immagine analogica, invece, è legata al tempo di esecuzione, che può variare dalle molte ore a millesimi di secondo. Inoltre, la fotografia, ha un rapporto con il “concetto tempo” molto variegato, scaturito non solo dall’evoluzione e dalle tecniche utilizzate, ma anche dal genere fotografico e dal rapporto dell’autore con il linguaggio e le sue potenzialità espressive. Se nell’accezione più comune, la fotografia è il “congelamento di un istante”, considerato unico ed irripetibile, è altrettanto vero che la storia della fotografia è densa di esempi in cui, alla velocità di esecuzione, tipica dei fotoreporter, ed alla ricerca del “momento decisivo”, è stato contrapposto spesso, proprio nel campo della rappresentazione fotografica dell’architettura, un approccio “lento”, non solo nella tecnica di ripresa. L’articolo intende trattare i casi in cui, nella storia della fotografia, in particolare in quella della rappresentazione fotografica dell’architettura e del paesaggio, il tempo ha rappresentato non solo un necessario fattore tecnico, ma soprattutto espressivo, che ne ha condizionato il genere.