«Too many Gatsbys in the fire»: un’occasione mancata?
Abstract
Da quando lo scadere del settantesimo anno dalla morte di Francis Scott Fitzgerald ha permesso di sfruttare commercialmente – e legalmente – le sue opere senza dover pagare i diritti d’autore, editori piccoli e grandi hanno invaso le librerie con nuove traduzioni dei suoi lavori più importanti. Nuove? Non sempre. Negli oltre sessant’anni che sono trascorsi dall’ultima versione italiana del Grande Gatsby (Fernanda Pivano per Mondadori, 1950), per esempio, il mondo ha «recuperato» il testo corretto dell’opera, grazie al lavoro di Matthew J. Broccoli; alcuni giovani studiosi – tra tutti, Keith Gandal del City College of New York – hanno guardato al romanzo con occhi nuovi e solida scholarship per offrirne punti di vista in parte inediti e, soprattutto, non viziati da pregiudizio; la teoria e la pratica della traduzione, infine, si sono evolute e il primato della traduzione scorrevole, accettabile e appropriante viene ormai sempre più eroso (almeno nei casi più virtuosi) da traduzioni adeguate al testo e alla sua specificità culturale. Le nuove traduzioni tengono conto di tutto questo o sono solo operazioni commerciali? Questo contributo vorrebbe essere da stimolo alla nascita di una nuova tradizione nella ricezione di questo testo, che non risponda esclusivamente a logiche mercantili e narcisismi da catalogo, ma che come accadde per la versione di Fernanda Pivano formi nuove generazioni di lettori, entusiasti ma – soprattutto – consapevoli e informati.
Since the coming of the seventieth year after Francis Scott Fitzgerald’s death allowed to commercially – and legally – take advantage of his works without having to pay royalties, publishers big and small flooded bookstores with new translations of his novels. New? Not always. In the more than sixty years since the last Italian version of The Great Gatsby (Fernanda Pivano, Mondadori, 1950) the world gained access to the correct text of the novel, thanks to the efforts of Matthew J. Broccoli; some scholars – among them, Keith Gandal of the City College of New York – have looked at the novel with new eyes and solid scholarship, offering new critical arguments not tainted by prejudice; the theory and practice of translation, finally, evolved and the primacy of the smooth, acceptable (and appropriating) translation is now being increasingly eroded (at least by the most righteous) by translations striving to faithfully conform to the text and its cultural specificity, sometimes almost keeping the reader at a distance. Do the new Gatsby’s translations take into account all of this or do they just answer to commercial demands? This contribution would aim to be a starting point to the development of a new tradition, a new way to address the text that would not respond exclusively to mercantile logic and catalog narcissism, but – as it happened with Pivano’s version – would shape new generations of readers, excited but also aware and informed.