Italo Calvino tra saggismo e "silenzio" della narrativa. Il caso della Nota al Castello dei destini incrociati (1973)
Parole chiave:
Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, Una pietra sopra, Saggismo, anni Sessanta, Editoria, Romanzo sperimentale, Semiotica, Robert Musil, Giambattista VicariAbstract
Il contributo propone un approccio rovesciato alla produzione di Italo Calvino, mettendo la figura del saggista davanti a quella del narratore. Fedele alla missione educativa che Gramsci affida agli intellettuali marxisti, Calvino fin dal Dopoguerra ha chiara la necessità di costruire una «nuova letteratura», ma unicamente per metterla al servizio di una «nuova società», come spiega nella Presentazione a Una pietra sopra (1980). Quella creativa è quindi solo un’opzione tra le altre, che entra in crisi quando la società porta alla ribalta un nuovo tipo di pubblico, non più disposto a frequentare la letteratura dell’impegno e ad accettare che sia la politica ad agire da collante culturale. A partire dagli anni Sessanta, Calvino affina di conseguenza gli strumenti teorici per ristabilire un dialogo con il lettore post-ideologico, tenendo per certa la convinzione che la letteratura possiede una carica conoscitiva non inferiore ad altre forme di sapere. Approfittando di una generale crisi del romanzo, Calvino rimescola il catalogo dei generi, ibridando sempre più spesso la fiction e il saggismo, individuato come canale preferenziale per coinvolgere il pubblico nell’atto critico che è sentito come necessario a ogni operazione letteraria. Come caso di studio emblematico si prenderà Il castello dei destini incrociati (1973), un libro concepito alla stregua di una verifica delle suggestioni offerte dallo strutturalismo e dalla semiotica, nel quale però la teoria letteraria, la meta-narrazione e la narrazione finiscono per trovare un modo inedito di valorizzarsi a vicenda.